Il 1908 è ricordato – specie al Sud Italia – come l’anno in cui la terra, tremando, sgretolò le due città dello Stretto, Messina e Reggio Calabria. L’improvviso cataclisma, avvenuto nel mese di dicembre, privò soprattutto la città di Antonello di moltissimi edifici di valore, se soltanto si pensi a quelli progettati da Juvarra o Guarini. In quello stesso funesto anno e in quella stessa martoriata città nacque il pittore Giuseppe Migneco, sebbene qualcuno dica che egli abbia scelto arbitrariamente di posticipare la data di nascita per guadagnare bonariamente in giovinezza.
Figura significativa del panorama artistico isolano del secondo Novecento, Migneco sviluppa nel corso degli anni il proprio peculiare linguaggio, risultato delle sperimentazioni giovanili che lo videro impegnato, nella Milano degli anni Trenta – dove si trasferisce inizialmente per completare gli studi in Medicina, mai portati a termine – in un’intensa attività artistica e politica, da figurare anche tra i fondatori del gruppo Corrente, ideato da Ernesto Treccani e sottoscritto, tra gli altri, da Bruno Cassinari, Raffaele De Grada, Renato Birolli e Giacomo Manzù, attivi tutti quanti, oltretutto, a difendere strenuamente la propria poetica in contrasto con le istanze di Novecento, di certo più in sintonia con la cultura fascista dell’epoca che impediva, soprattutto all’arte, di ‘deviare’ verso istanze più libere e internazionali. Per le sue posizioni politiche Migneco, così come tanti altri amici artisti, si guadagnò periodi di reclusione con l’accusa di antifascismo. Episodi che contribuiranno a forgiare il carattere dell’artista e a determinarne finanche le scelte stilistiche, derivate proprio da una coscienza maturata in seno alla lotta contro il regime.
Con l’adesione al gruppo Corrente riuscirà in quegli stessi anni a farsi conoscere al grande pubblico, esponendo nella poi divenuta celebre piccola galleria in via della Spiga nel capoluogo meneghino.
Il clima culturale della vivace Milano, forse la più cosmopolita città d’Italia durante il Ventennio, favorì l’ascesa del giovane pittore, offrendogli opportunità che nella sua Sicilia gli sarebbero state certamente precluse. Eppure l’incantesimo dell’Isola, sebbene lontana, riecheggiò sempre, e anzi in maniera prepotente, nelle opere di Migneco, il cui stile pittorico, guidato e animato dai propri principi e ideali, sembra avere un legame indissolubile con la luce e i contrasti della propria terra.

Le sue figure, sovente personaggi umili dediti al lavoro contadino o alla pesca, uomini comuni o soggetti allegorici, spigolosi e deformati, sono sempre contornate da tratti netti e pesanti, quasi dovessero dare la parvenza di essere incise sulla tela. Le atmosfere nelle quali queste figure sono immerse poi, prodotte attraverso campiture di colori densi, accostati e miscelati tra loro per generare un vero e proprio dissidio cromatico, contribuiscono alla definizione dello stile di Migneco, permeato da un sentimento espressionista dalle tinte forti, come fossero bruciate dal sole inclemente dell’Isola, quel lembo di terra nel quale trascorse un’infanzia bucolica e pressoché serena, nella campagna della provincia messinese dove il padre esercitava il mestiere di capostazione.
In molti paesaggi dell’artista ritorna l’immagine di quegli scorci ripescati dalla memoria, di afose giornate d’estate in libertà, all’ombra di qualche albero sul confine della ferrovia, in compagnia di un amico, di frutti maturi rubati nei campi, di corse e attese. A volte schivo e diffidente come alcuni siciliani sanno essere, Migneco affascinava con la sua enigmatica compostezza e il suo essere di poche parole, come emerge da alcune vecchie interviste sul “Giornale di Sicilia” o dai racconti che di lui fece chi lo conobbe personalmente. Terminata la guerra e iniziato il lento e progressivo mutamento del Paese, Migneco continua la sua ricerca iniziando a esporre presso altre gallerie milanesi, poi a Roma, fin quando i suoi lavori vengono accolti alla Biennale di Venezia, intorno agli anni Cinquanta. È questa l’occasione in cui, oltre al mito – da sempre amato – di Van Gogh, si lascerà sedurre dalla narrazione a sfondo socialista dei grandi pittori muralisti messicani, in particolar modo da Rivera e Orozco, presenti nella città della laguna in qualità di rappresentanti del proprio paese, così come dall’esempio di Picasso, del quale assorbirà e rielaborerà la lettura cubista della realtà.
Il pescatore verde 1975, olio su tela, cm 50×40
La sua pittura continuò a essere apprezzata negli anni successivi, uscendo dai confini nazionali e arrivando fin negli Stati Uniti, nei quali però, ironicamente, non poté recarsi in quanto iscritto – e non avrebbe potuto essere altrimenti – al partito comunista. Mai avvezzo alla mondanità, preferì coltivare la propria intima solitudine con pochi eletti, tra cui la moglie – con la quale affrontò gli anni di magra degli inizi – e trascorrendo la maggior parte del tempo nella quiete delle proprie dimore, accanto agli amici più cari, viaggiando, dipingendo. È negli anni Ottanta che Messina, sua città natale, organizza la prima vera mostra antologica su di lui, rendendogli in questo modo un caloroso e doveroso omaggio. Tornerà in Sicilia da morto, per essere sepolto nel cimitero comunale. Si spense nel ’97, in quella Milano instancabile che tanto gli aveva offerto, come fosse uno di quei cesti opulenti dei suoi dipinti, colmi di frutta o di pesci del suo mai dimenticato mare.
Luca Ferracane [Palermo, 1992]
Appassionato di Opera, arte, libri, cultura classica, ha conseguito il Master di I livello in Regia d’Opera presso il Polo Nazionale Artistico di Verona, dopo aver completato un percorso di studi in Scenografia all’Accademia di Belle Arti di Palermo (diploma accademico di II livello). Col tempo, dopo numerosi tirocini ed esperienze, continua a portare avanti la sua ricerca personale sulla regia per il melodramma, collaborando come assistente alla regia. Nel 2019 è stata trasmessa su RAI 5 la tragedia in musica Medusa, della quale è stato ideatore del Concept e del libretto, opera andata in scena al Polo Museale d’Arte Moderna e Contemporanea della Regione Sicilia, per la regia di Mimmo Cuticchio e la musica di Giacomo Cuticchio, e oggi disponibile sulla piattaforma RAI PLAY.

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